Le due cartoline iniziali da cui siamo partiti si sono rivelate così prima due “figure” di lettura, indispensabili per schizzarne una fenomenologia, e poi due assi cartesiani destinati a tagliare in due il campo della lettura del XIX e XX secolo. Ma è soprattutto all’interno del prodotto letterario privilegiato della modernità, il romanzo, e della sua fruizione, che queste due linee si affrontano e si confrontano. Il romanzo rappresenta “la forma artistica specifica della modernità” (come ha detto Schlegel [56] e dopo di lui molti altri)[57], proprio perché è il genere letterario che più di tutti prefigura e incorpora il momento della lettura all’interno dell’officina letteraria, nel cuore del processo diegetico, riabilitandola e insieme riducendola a un ingranaggio di una produzione che si farà via via sempre più industriale.[58] Il romanzo nasce dalla rottura della letteratura moralistica ed edificante, quella che aveva alimentato il filone delle “vite dei santi” da cui pure esso si era sviluppato:[59] esso chiede una lettura adeguata alla “commedia umana” che rappresenta e postula l’empatia del lettore come un ingrediente indispensabile al suo successo.[60]
Tutto ciò determina a sua volta un mutamento nella pratica di lettura e nella forma mentis del lettore. Da questo punto di vista il romanzo è un esperimento cognitivo. Lisa Zunshine si chiede ad esempio come facciamo, leggendo Mrs Dalloway di Virginia Woolf, a capire che Peter Walsh, durante la visita inaspettata che fa alla signora Dalloway la mattina prima del party, trema visibilmente non perché afflitto dal Parkinson ma perché rivede dopo anni il suo antico amore.[61] Le convenzioni della forma romanzo modificano la forma mente del lettore; noi diamo per naturale ciò che non lo è affatto e ad un lettore di un secolo prima sarebbe risultato incomprensibile (infatti nessuno ci dice le ragioni del tremito di Peter Walsh, le dobbiamo capire da soli). Il linguaggio del corpo del personaggio penetra nella mente del lettore. Al termine di una storia secolare può risultare quindi del tutto logico che un benemerito comandante di polizia di Città del Messico nel 2006 “prescriva” ai suoi ufficiali la lettura di romanzi di Cervantes, Rulfo, Poe e Saint-Exupery come compito di ufficio, motivando la scelta con i guadagni che la lettura dei romanzi consente in quanto a conoscenza del mondo, padronanza del linguaggio ed empatia verso gli altri.[62]
Note:
[56] Cit. in BRUNO MORONCINI, Walter Benjamin e la moralità del moderno, Napoli, Guida, 1984, p. 208.
[57] Cfr. almeno: GYÖRGY LUKÁCS, Teoria del romanzo, Milano, SE, 2004; Il romanzo, a cura di Franco Moretti, Torino, Einaudi, 2001; IAN WATT, Le origini del romanzo borghese. Studi su Defoe, Richardson e Fielding, Milano, Bompiani, 1994; ILENIA DE BERNARDIS, L’illuminata imitazione Le origini del romanzo moderno in Italia: dalle traduzioni all’emulazione, Bari, Palomar, 2007; ROSAMARIA LORETELLI e UGO M. OLIVIERI, La riflessione sul romanzo nell’Europa del Settecento, Milano, Angeli, 2005.
[58] “Il romanzo pretende di annettere dentro la pagina la lettura”: “se il romanzo vuole essere una bottiglia di lettura, ogni lettore è un sommelier” (TIZIANO SCARPA, Cos’è questo fracasso? Alfabeto e intemperanze, Torino, Einaudi, 2000, pp. 65-66). Sulla “fabbrica dei best seller” e la costruzione seriale e industriale dell’opera letteraria resta ancora fondamentale il lavoro di analisi di GIAN CARLO FERRETTI, Il mercato delle lettere, Torino, Einaudi, 1979 e Idem, Il best seller all’italiana. Fortune e formule del romanzo “di qualità”, Roma-Bari, Laterza, 1983.
[59] Le quali rappresentavano secondo HéctorAbad Faciolince un primo esempio di “letteratura impegnata”: HÉCTOR ABAD FACIOLINCE, Literatura, compromiso y moral, “El País – Babelia”, 1000 (22-1-2011).
[60] Sull’empatia in lettura: J. BROOKS BOUSON, The empathic reader. A study of the narcissistic character and the drama of the self, Amherst, University of Massachusetts Press, 1989.
[61] LISA ZUNSHINE, Why we read fiction. Theory of mind and the novel, Columbus, Ohio State University Press, 2006, p. 3.
[62] JAMES WOOD, How fiction works, London, Vintage, 2009, pp. 128-131.
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